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A volte, quando mi chiedono che mestiere faccio mi trovo davvero spiazzato. Su questa pagina, che non è esclusivamente un sito professionale e su cui vorrei potermi concentrare di più, provo a dire qualcosa di me, a far passare il fatto che, come tutti, ho passioni, interessi, storie, giornate che vanno aldilà del mio lavoro o di quello che chi mi conosce sotto certi aspetti immagina di me.
Passioni ho detto, le stesse che mi hanno fatto vivere i laboratori come ricercatore atipico prima al CNR di Lecco, al dipartimento di Meccanica Strutturale dell’Università di Pavia, poi dirigendo il progetto NuDe nei laboratori del Polo dell’Innovazione della Valtellina con la costante fortuna di trovarmi a lavorare su progetti che, in una maniera o nell’altra hanno avuto un esito, una conclusione reale e concreta in forma di prototipo, di pre-serie, di prodotto.
Tendenzialmente sono sempre stato abituato a lavorare su quello che ancora non c’è, a provare, a sbagliare, a crescere e a farlo a fianco di persone molto diverse da me da ogni punto di vista. Nel percorso che mi è capitato di imbattermi in ormai una ventina d’anni di esperienze non ho mai trovato qualcuno che avesse le “risposte giuste” il “guru” da seguire o imitare.
Mi sono sempre trovato a lavorare in gruppi giovani, competenti, molto molto diversificati in cui si partiva da zero e in cui il viaggio, il “percorso” di ricerca rappresentava una forza devastante nel processo di crescita di ciascuno.
Un percorso spesso fatto di salti e non di linee fatto di contraddizioni e non di dogmi fatto di domande e non di risposte in cui ho imparato a mettere in dubbio ogni cosa, a guardare avanti, oltre a imparare dal passato che se non ci fosse stato qualcuno a volerlo superare non avrebbe neanche senso la sua esistenza.
Quando tre anni fa insieme ho iniziato a lavorare sul progetto T°RED con il mio staff di ricerca e le partnership mai abbandonate con i “vecchi” laboratori amici l’ho fatto per passione. In quel caso la passione è stata quella del ciclismo, l’obiettivo quello di trasferire a chi aveva la mia stessa passione le competenze e le conoscenze che professionisti, progettisti e ricercatori di “altri campi” avrebbero potuto arricchire lo strumento del nostro “piacere”.
La bicicletta.
Otto tubi saldati, un traliccio in composito, tante le risposte già date, tante le domande da farsi.
L’amicizia con Giairo Ermeti mi ha portato a esplorare questo “mezzo meccanico” in modo nuovo rispetto a quando lo utilizzavo per i miei allenamenti o per il pacere di un giro tra amici.
Nella mia carriera da ricercatore e progettista ho avuto il “culo” di conoscere e confrontarmi con gente come Chris Bangle, Pierre Terblanche, Stefano Besseghini e di capire come le logiche progettuali, della ricerca e del saper fare debbano giocoforza coesistere simultaneamente per superare lo stato dell’arte. Attenzione non è un discorso qualitativo. Non è un “per fare meglio” ma per provare a fare qualcosa a cui nessuno aveva pensato in un percorso di evoluzione lineare e che l’approccio che abbiamo portato permetteva di intraprendere con “salti” importanti rispetto allo stato dell’arte.
Nel 2002 per esempio nel campo biomedicale vidi i primi pezzi di prototipazione rapida. Me li fece vedere un neurochirurgo di Lecco, che già allora ne faceva uso nel suo campo.
Iniziai a imparare a usare la prototipazione per sviluppare oggetti a lavorare con la modellazione solida, l’elettronica, e metterci insieme le mie esperienze sui metalli.
Un mio progetto realizzato in laser sintering è nella collezione permanente del museo Ars Electronica di Linz.
Quindici anni dopo una bicicletta, Manaia, è stata sviluppata e realizzata tutta in prototipazione rapida prima di essere portata in fase di produzione, Lo abbiamo fatto insieme a chi poi ne ha realizzato le parti da pieno, i tubi, le saldature…lo abbiamo fatto insieme proprio come 15 anni fa nei laboratori sotterranei del CNR in viale Promessi Sposi.
E’ stata un’esperienza che ci ha permesso di trovare soluzioni atipiche, di farci nuove domande in fase di progetto, di confrontarci, di fare errori e di risolverli (ricordo ancora i test al Cremona Circuit di Giairo con il prototipo…) e alla fine di avere ancora voglia di migliorare grazie agli input di atleti professionisti, alle variabili imprescindibili dell’uso umano al limite.
Non per strafare o per competere ed eccellere ma perchè nel nostro DNA c’è la voglia di non fermarsi a quello che è stato già fatto, di provarci.
Ecco.
Questo faccio io, io ci provo e ho la fortuna di non farlo da solo ma con persone che hanno la voglia, l’umiltà, la sensibilità per non pensare di avere le soluzioni ma di poter arrivare dove da soli non sarebbe possibile arrivare.